L’infermiere di famiglia responsabile delle cure domiciliari del paziente.
E le cure domiciliari, in quanto sostitutive, ma anche integrative e continue, del ricovero ospedaliero, sono gratuite e non soggette a ticket, indipendentemente dal reddito.
A stabilirlo è il sul disegno di legge 1346 (primo firmatario Gaspare Antonio Marinello, M5S) “Introduzione della figura dell’infermiere di famiglia e disposizioni in materia di assistenza infermieristica domiciliare” su cui la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) è stata ascoltata oggi in un’audizione alla Commissione Igiene e Sanità del Senato a cui ha partecipato per la FNOPI Nicola Draoli, componente del Comitato centrale della Federazione e presidente dell’ordine di Grosseto.
Secondo la FNOPI, che ha sottolineato l’importanza dei contenuti del Ddl, sarebbe utile, anche in aderenza a quanto previsto nel nuovo Patto per la salute approvato in Stato-Regioni – del quale il Ddl dovrebbe rappresentare la garanzia di applicazione uniforme in tutte le Regioni e dare le indicazioni per essere sviluppato – e in coerenza con quanto descritto nello stesso Ddl, estendere la definizione dell’infermiere di famiglia a infermiere di famiglia/comunità.
L’infermiere così inquadrato è infatti un professionista che agisce su livelli individuali, familiari e comunitarie e non potrebbe essere altrimenti se vogliamo riformare l’assistenza territoriale in modalità proattività, lavorando sulle reti, sulle risorse e sui determinati di salute che non possono e non devono fermarsi al singolo individuo.
Inoltre, per mettere a regime il modello, è anche importante che l’infermiere di famiglia e comunità abbia un bacino di popolazione di riferimento stabilito, variabile a seconda dei contesti geografici e demografici, che racchiuda tutti e non solo persone già inserite in un registro di cronicità e bisogno assistenziale.
L’Infermiere di famiglia e comunità deve diventare un riferimento riconoscibile e raggiungibile liberamente sia da quella popolazione di riferimento ma anche dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta che hanno in carico quella stessa popolazione. E ovviamente tale riconoscibilità e raggiungibilità avviene anche al contrario dall’Infermiere di Famiglia e Comunità.
Secondo i dati illustrati dalla FNOPI all’audizione, dove il modello è già attivo l’infermiere di famiglia e comunità evita ricoveri impropri, previene e diminuisce le complicanze, promuove auto cura e consapevolezza generando appropriatezza economica oltre clinica proprio partendo dall’educazione al singolo e alle comunità, armonizza i percorsi aumentando fiducia nel sistema e facendo diminuire i contenziosi, ma soprattutto risponde ai bisogni delle persone che dopo brevi esperienze di ospedalizzazione necessitano di lungo supporto assistenziale a volte coincidente con la vita stessa delle persone.
L’infermiere di famiglia/comunità si è dimostrato il professionista che mantiene il più stretto contatto con il cittadino della propria zona di competenza e rappresenta la figura professionale di riferimento che assicura l’assistenza infermieristica generale in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità. E ha un impatto anche nell’attività educativa e di auto addestramento non solo dei pazienti ma anche dei caregiver che sono anch’essi il secondo carico di complessità che si affianca la persona assistita sia per le risorse che per le casse dello Stato
Una nota semmai che meriterebbe maggiore considerazione e che la FNOPI ha sottolineato è quella che riguarda la carenza di infermieri, molto evidente così come per altre figure professionali sanitarie, ma che nell’ottica della realizzazione dell’Ifec assume anche maggior rilevanza.
Sul territorio, per rispondere ai bisogni di salute degli oltre 24 milioni di cittadini con patologie croniche o non autosufficienza, la Federazione nazionale degli infermieri ha calcolato la necessità media di almeno un infermiere ogni 500 assistiti (assistenza continua) di questo tipo: circa 20mila infermieri di famiglia/comunità.
Un numero che è desumibile anche calcolando un infermiere di famiglia e comunità ogni 3mila cittadini circa e ovviamente nelle Regioni in cui il numero di anziani/cronici è più alto o con profili di densità abitativa ridotti o numerose comunità interne, il fabbisogno è probabile che aumenti.
L’infermiere di famiglia/comunità inoltre può rappresentare una soluzione per quanto riguarda l’assistenza nelle cosiddette “aree interne”: si tratta della cura di oltre un terzo del territorio italiano (le zone montane coprono il 35,2% e le isole l’1% della Penisola) e la collaborazione tra infermieri di famiglia e di comunità sul territorio – sociale e di cura – per il sostegno in quelle zone che oggi spesso vengono spopolate perché prive proprio di supporti sociali e più in generale di servizi pubblici, rappresenterebbe anche uno strumento utile alla riduzione delle attuali disuguaglianze.
La FNOPI ha concluso sottolineando l’opportunità e la bontà del Ddl all’esame del Parlamento, che, con eventuali, possibili integrazioni, dovrebbe essere approvato al più presto per consentire a tutti i cittadini di poter usufruire dei vantaggi descritti e al sistema di garantire una organizzazione maggiormente appropriata e mirata non solo alla cura e all’assistenza, ma anche alla vera e propria prevenzione, sostegno e indirizzamento e non solo delle persone croniche.