Un’azienda ospedaliera medio-grande del Sud (Campania), ha risparmiato fino a un milione di euro in costi assicurativi applicando un modello di risk management del tutto innovativo e assolutamente italiano adottato ormai da cinque anni. E ha portato l’occupazione dei posti letto al 98% migliorando l’organizzazione dei servizi, riducendo i contenziosi a non più di una decina (richieste risarcitorie) l’anno contro le 120 medie di altri ospedali.
È un esempio di risultato ottenuto con una spesa minima (120mila euro in tre anni) per formare secondo un nuovo modello di risk management – non consulenziale, ma formativo appunto – allo studio presso la LUISS Business School. Un modello made in Italy, senza influenze di modelli stranieri e con l’ulteriore risultato per chi lo applica di ottenere anche sconti assicurativi, vista la sua efficacia.
Un modello che agisce sull’organizzazione, perché nel rischio su 100 richieste risarcitorie, almeno 90 riguardano processi organizzativi e non la capacità degli operatori, per cui vanno create organizzazioni che evitino che gli eventuali errori si trasformino in danni, e che è stato realizzato dalla LUISS Business School dopo aver studiato 107 ospedali italiani e sottoscritto da numerosissimi stakholders, dalla Marina militare a Cittadinanzattiva, dalle Federazioni degli infermieri, delle ostetriche e dei tecnici di radiologia e delle professioni tecniche e della riabilitazione alla Società italiana Medico-Giuridica.
E il modello analizza e coinvolge tutti gli aspetti delle gestioni e organizzazioni sanitarie, da quelli trasversali come il consenso informato, la documentazione sanitaria, gli accessi e così via, a quelli orizzontali, dalle sale operatorie al pronto soccorso fino alle terapie intensive. Poi ancora il risk financing e sistema di gestione dei sinistri e le varie Unità operative che compongono le strutture fino ai requisiti delle neonatologie e anche delle unità operative di malattie infettive e tropicali.
A metterlo a punto e a sperimentarlo un gruppo di lavoro costituito presso la Luiss Business School di cui hanno fatto parte circa cinquanta tra medici, infermieri, clinici e manager esperti di procedure di risk management, direttori di aziende, economisti guidati da un comitato esecutivo presieduto da Angelo Lino Del Favero, già direttore dell’Istituto superiore di Sanità e coordinato da Stefano Maria Mezzopera, Adjunct professor e direttore dei corsi in gestone del rischio in sanità di Luiss Business School.
“Il modello ha avviato la sua sperimentazione in zone a rischio come il Molise e la Campania, ma non solo – spiega Mezzopera – ed è stato scritto da ‘chi fa le cose’, senza alcuna influenza i modelli stranieri che in Italia non funzionano, lasciando la massima libertà alle aziende di costruire il loro sistema di valutazione come preferiscono, con l’unico vincolo del rispetto di alcuni paletti senza i quali il modello non si realizza e non viene quindi certificato: se il verificatore dovesse trovare anche una sola cartella clinica non conforme, analizzerebbe tutte le cartelle di almeno gli ultimi tre mesi, darebbe qualche mese alla struttura per mettersi in regola, ma se così non fosse toglierebbe la certificazione con tutte le conseguenze del caso tra cui non ultima. Ferma restando al primo posto la sicurezza di operatori e pazienti, la perdita di tutti gli sconti assicurativi. Ritengo che la scelta fatta sia ormai consolidata e l’impegno, tramite il modello, sarà quello di continuare a formare gestori del rischio e operatori per la sanità italiana, che siano sempre più ‘scettici illuminati, che dubitano, quando gli altri hanno certezze, e sollevano i sassi per verificarle’”, afferma ancora.
Mezzopera spiega poi che tutte le figure operative nelle aziende previste dal modello devono essere certificate da un ente terzo in base a prove molto rigide. I criteri per la selezione degli operatori aziendali per il ruolo di facilitatore – come si legge anche nel modello – si basano su alcune capacità e predisposizioni individuali, che prevedano almeno: saper ridere di sé, capacità di mettersi in gioco, saper lavorare in team ed essere orientati al concetto di leadership.
Dopo una lunga formazione ci sono esami finali e si portano i prescelti a fare la fotografia del rischio in tutte le unità operative e i servizi dell’azienda, nessuno escluso. Il risultato finale è sottoposto al direttore delle Unità operative e si stabilisce quanto tempo ci vuole per le azioni necessarie al risanamento per le quali sono formati “facilitatori” per farli diventare formatori e agire sui rischi.
I requisiti generali del modello sono basilari e introducono i vincoli metodologici, operativi e di governance del sistema per la gestione del rischio aziendale;
- il primo e il secondo livello considerano la struttura nella sua interezza, pur trattando nella definizione dei Requisiti le specificità delle diverse aree funzionali;
- il terzo livello stabilisce il raggiungimento dell’eccellenza, detta la metodologia per la costruzione di specifici requisiti, è dedicato ad ogni singola Unità operativa ed è attuabile e certificabile individualmente.
La metodologia per la gestione del rischio, su cui si fonda il modello, si basa sul paradigma iterativo “conosco, gestisco, controllo” e prevede che per la gestione del rischio aziendale si realizzino i seguenti passi logico-operativi:
- individuazione dei rischi;
- valutazione dei rischi;
- gestione dei cambiamenti, finalizzati all’abbattimento dei rischi individuati;
- controllo del rischio residuo;
- verifica periodica dell’applicazione del Sistema, per garantirne la sua continua adeguatezza
Il modello prevede che il sistema per la gestione del rischio aziendale sia periodicamente sottoposto a verifiche, ripetendo iterativamente i passi indicati in precedenza. Anche per questo a settembre la LUISS Business School farà partire uno specifico Corso di perfezionamento universitario.
I cambiamenti, che a breve termine vedrà la sanità italiana, devono e possono essere meglio indirizzati, con un modello comune, innovativo, snello ma efficace, che migliori la sicurezza delle cure, partendo dalla conoscenza e superando l’enorme e tipica mole documentale che spesso più che certificare processi ed esiti certifica l’esistenza stessa della documentazione. In questo gli infermieri offrono ormai da anni esperienza e competenza negli aspetti gestionali e clinici che riguardano la gestione del rischio e la Sicurezza delle cure. Dobbiamo investire in nuovi modelli per evitare il riaffermarsi di vecchi e ormai obsoleti livelli di assistenza, inefficaci, che oltre agli operatori mettono a rischio per primi i cittadini”, ha detto Nicola Draoli, del Comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) che ha fatto parte dei 50 esperti per l’elaborazione del nuovo modello coadiuvato da Luigi Pais del Mori, Presidente dell’ordine provinciale degli infermieri di Belluno.
“Maggiore coinvolgimento e maggiori responsabilità degli infermieri nell’ambito del risk management sono non solo la naturale evoluzione per una professione che ormai è cresciuta ad altissimi livelli, ma anche l’effetto del maggiore peso attribuito alla figura dell’infermiere dalla legge 24/2017, sulla responsabilità sanitaria – ha sottolineato la presidente Fnopi Barbara Mangiacavalli -. L’infermiere svolgerà un ruolo sempre maggiore nella gestione delle procedure che riguardano denunce o malfunzionamenti del sistema all’interno dei nuovi centri regionali per la gestione del rischio e il nuovo modello è l’espressione di quella crescita che i nostri professionisti stanno vivendo nella loro quotidianità accanto agli assistiti, per la loro salute e la loro massima tutela”.