“Basta con un sistema basato solo sull’economia: la salute non si compra, ma si tutela e si difende con equità e universalismo”. Non ha dubbi Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, leggendo la bozza di decreto che ripartisce le risorse per ridurre gli effetti del superticket, “60 milioni su cui la parola d’ordine doveva essere solo equità”.
Che il federalismo sanitario fosse fallimentare lo ha segnalato qualche giorno fa il rapporto Osservasalute. La segnalazione è stata chiara: non si sono ridotte le differenze di spesa e di performance tra le Regioni. “Differenze inique perché non ‘naturali’, ma frutto di scelte politiche e gestionali”, ha denunciato Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, secondo il quale non serve solo il calcolo basato sull’economia, ma serve quello che tiene conto dei bisogni veri di salute “come è urgente un recupero di qualità gestionale e operativa del sistema, troppo deficitarie nelle Regioni del Mezzogiorno”.
E ora ci risiamo. Si riconosce che il superticket va abolito o quanto meno indebolito, si stanziano fondi nella manovra di bilancio 2018, ma poi il risultato finale è uno schema di decreto che, come ha denunciato Cittadinanzattiva, ripartisce il 90% del fondo attraverso un unico criterio: il volume di ricette di specialistiche ambulatoriali. Così a 5 Regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana), sono assegnate circa il 70% delle risorse del Fondo nazionale. Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia tutte insieme avrebbero a disposizione solo il 12,5% del Fondo. Si passa, per fare un esempio, dal 23% della Lombardia all’1,5% della Calabria, sino ad arrivare allo 0,3% del Molise.
“Non è una questione di conti, ma di equità – ribadisce Mangiacavalli -. Un’equità che si predica bene nei nuovi livelli essenziali di assistenza e guardando al territorio, ma che poi si applica male privilegiando in modo economicismo sempre le stesse Regioni che ‘possono’, lasciando indietro le altre nelle quali risiede comunque quasi il 50% della popolazione nazionale e che già sono alle prese con i piani di rientro che hanno tagliato loro servizi e risorse professionali”.
“Ci auguriamo che siano le stesse Regioni a rendersi conto che in questo modo l’Italia si spacca. Le Regioni non possono essere complici – conclude l’appello della presidente degli infermieri – del disfacimento di uno dei sistemi più equi e universali di assistenza oggi presenti: il nostro servizio sanitario nazionale che tutti ci invidiano, ma che a quanto pare si sta facendo di tutto per abbandonare”.