Il rapporto di Amref sulla cooperazione sanitaria afferma che, in Italia, lavorano circa 35mila infermieri stranieri iscritti all’albo (pari al 10% del totale). Nella maggior parte dei casi, sono romeni e polacchi e i non comunitari vengono dal centro e sud America, India, Filippine e Brasile. Tra quelli originari dell’Africa, i più vengono dai Paesi del Maghreb.
Il ruolo degli infermieri stranieri è oggi importante per la tenuta del sistema sanitario nazionale: in Italia mancano 60mila infermieri e questa grave carenza, in parte, è compensata proprio da questa presenza.
Da qualche anno, il reclutamento avviene con le agenzie di lavoro interinale, grazie a una collaborazione con l’Ordine professionale e il Ministero della Salute che inviano propri rappresentanti all’estero per espletare gli esami per l’iscrizione all’albo nei Paesi di origine dei candidati. Così, gli infermieri entrano in Italia non come migranti ma con una qualifica professionale riconosciuta, usufruendo della prevista deroga al tetto delle quote d’ingresso (anche se, nella realtà, spesso, finiscono per lavorare quasi sempre nel privato e con contratti brevi).
Il Rapporto sottolinea, però, che il Ministero non accompagna a queste pratiche una valutazione dell’impatto di questi fenomeni sui sistemi sanitari dei Paesi di provenienza, che investono nella formazione di personale destinato poi ad emigrare. Il problema del brain drain, con il personale sanitario che emigra dai Paesi poveri comporta infatti l’aggravarsi della carenza di risorse umane negli Stati in via di sviluppo, già in situazioni critiche.
La situazione diverrà incandescente nelle prossime decadi quando, a seguito, dei pensionamenti, il Paese sperimenterà la scarsità di operatori sanitari (medici ed infermieri) che, per le stime dell’Oms, dovrebbero essere 4,3 milioni nel mondo. La situazione più grave resta nell’Africa sub-sahariana, che fronteggia il 24% delle malattie globali con il 3% del personale sanitario sottopagato. La carenza di personale sanitario è un grosso ostacolo al raggiungimento degli obiettivi del millennio relativi alla salute, tra cui: riduzione della mortalità infantile e materna e la lotta alle pandemie. Cosa impossibile se, entro il 2015, non saranno formati e resi attivi 3,5 milioni di operatori sanitari in più.
Oggi, sono 49 i Paesi nel mondo che fronteggiano una crisi del personale sanitario e serviranno 40 miliardi di dollari in più fino ai 2015 (il 24% degli investimenti totali per la salute) per formare il personale mancante.
Eppure, mai come negli ultimi anni c’è stato così tanto denaro a disposizione di interventi sanitari nel mondo e anche i Paesi dell’Unione Africana si sono impegnati a destinare il 15% dei propri budget alla spesa sanitaria.