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Sanità: 36 anni di problemi irrisolti. E’ ora di cambiare davvero

“La riforma sanitaria del 1978 ha portato ad un maggiore divario nei livelli di assistenza nell’ambito delle singole Regioni”. E ancora; Aumentando il divario tra le regioni più progredite e quelle a più basso grado di sviluppo, risultato questo che costituisce una grave contraddizione rispetto ad uno dei principi fondamentali della riforma”.Non è un dibattito di oggi, ma quello che il CNEL diceva in audizione nel 1984 (allegata) sulla riforma sanitaria del 1978. E che lo stesso CNEL ha paradossalmente ribadito e rilanciato (quasi) del tutto nella sua Relazione 2019 al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Pubbliche amministrazioni centrali e locali a imprese e cittadini.

Tonino Aceti, portavoce della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche ha ripreso l’audizione di ben 36 anni fa del CNEL, dimostrando che la sanità si è sempre mossa in un vero percorso a ostacoli.Per il CNEL una delle priorità nel 1984 era quella “di aumentare e rendere più efficaci e penetranti i poteri del Ministero della sanità per quanto concerne l’indirizzo e il coordinamento… il modo con cui il Servizio è stato organizzato nell’ambito delle varie Regioni e zone del paese si presenta con differenze essenziali, per cui l’indirizzo e il coordinamento sembrano importanti”.

“Del resto – commenta Aceti – già nel 1984 si avvertiva un ‘dinamismo’ da parte delle Regioni, in particolare di alcune, a fronte di un certo affanno da parte delle politiche nazionali e delle istituzioni centrali”.

L’esempio più evidente che Aceti riporta è quello relativo ad uno dei principali adempimenti previsti dalla Legge 833/78: l’adozione del Piano Sanitario Nazionale e dei conseguenti Piani Sanitari Regionali.“Se la legge 833 all’art. 55 sanciva che i piani sanitari triennali delle regioni dovessero uniformarsi ai contenuti ed agli indirizzi del piano sanitario nazionale – afferma –  ciò che si è verificato nella realtà è che nell’attesa che il livello centrale adottasse il PSN (l’ultimo Piano sanitario nazionale è quello relativo agli anni 2006-2008) alcune Regioni, soprattutto del Nord, si sono portate avanti adottando propri Piani Sanitari Regionali, anche piuttosto eterogeni tra loro contribuendo a sviluppare quelle disuguaglianze che anche oggi esistono”.

E anche qui è lo stesso CNEL nel 1984 a segnalare come “i piani regionali rappresentano in molti casi un momento precedente al Piano nazionale, mentre dovrebbero essere a questo successivi…la mancanza del Piano sanitario nazionale ha fatto sì che, mancando certe direttive di carattere generale, ciascuna Regione legiferasse — alcune di esse hanno anche pianificato — con dei criteri che sono stati autonomamente scelti dalle Regioni stesse.

Ma le disuguaglianze non riguardavano solo l’accesso ai servizi e la programmazione sanitaria, si riferivano anche al peso economico dell’assistenza sui redditi delle persone. Un tema che tiene banco anche oggi se si guarda alle differenze relative a ticket, IRPEF, spesa sanitaria pubblica pro-capite, …e alla relazione che intercorre tra qualità, sicurezza e accessibilità ai servizi sanitari e il livello di tassazione e compartecipazione alla spesa, dove in alcune realtà è persino inversamente proporzionale.

“Anche riguardo all’incidenza complessiva del peso dell’assistenza sanitaria sul reddito di un individuo – ricorda Aceti ripercorrendo l’audizione del 1984 – , tenuto conto delle imposte e della contribuzione, vi è una grande attualità nelle evidenze offerte dal CNEL oltre trent’anni fa: “esistono, a parità di reddito, disparità enormi… serve realizzare, sia pure con gradualità, una maggiore uniformità dei sacrifici sostenuti dai cittadini, perché anche questo è uno degli elementi di consenso dei cittadini stessi verso la riforma sanitaria, riforma essenziale che non ha ancora l’efficacia che potrebbe avere.

E tra le critiche del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro non manca una di quelle in pole position tra i problemi di oggi: lo sviluppo dell’assistenza sociosanitaria territoriale. “Un pilastro del SSN – sottolinea Aceti – che è la grande incompiuta sulla quale è necessario lavorare intensamente per “costruire” risposte sempre più adeguate ad una delle priorità come può essere la cronicità.

Oggi come ieri rappresenta una partita aperta, che il CNEL illustrava già nell’84 in modo molto chiaro: “il polo territoriale (quello dei poliambulatori integrati in modo moderno, dei consultori, delle équipes mobili), che invece è completamente disatteso. Credo si possa dire che se c’è una tendenza regressiva che emerge con forza nella attuale crisi della riforma sanitaria, essa è la deterritorializzazione, la riduzione del decentramento nella gestione del Servizio sanitario nazionale. Il polo intermedio tra l’ospedale e il medico generico è quello che subisce le maggiori limitazioni”.

Anche “l’attivazione della integrazione dei servizi sociali con quelli sanitari” veniva individuata come un obiettivo da raggiungere per evitare che la riforma del 1978 fosse «monca». Ancora oggi siamo molto lontani dal raggiungere questo obiettivo”.Poi ancora la riorganizzazione degli ospedali, la sostenibilità rispetto a disinvestimenti, tagli e ticket (il testo integrale dell’analisi è su www.fnopi.it) con l’indicazione (di 36 anni fa, uguale a quelle di oggi) di “cercare di realizzare una maggiore equità nell’ambito dei sacrifici che i cittadini sostengono per il Servizio sanitario.

Gli ultimi elementi raccolti fanno invece pensare che ci si stia sempre più allontanando da questa equità.”Ma perché dopo tanti anni su molti di questi argomenti si è fatto ancora troppo poco o nulla? Secondo Aceti le cause sono molteplici e ne elenca alcune tra le principali:

  • la mancata volontà politica di colmare realmente il divario nord-sud, perché il divario serve a qualcuno ma non ai cittadini;
  • scelte politiche guidate dalle scadenze elettorali, che non hanno guardato sempre alla Salute dei cittadini e alle “evidenze” quanto piuttosto al campanilismo, agli interessi delle lobby negative e ad altri tipi di interessi che non hanno nulla a che vedere con quelli dei cittadini;
  • la moda di smantellare ciò che è stato costruito dalla controparte politica, a prescindere dal merito delle scelte fatte, dagli esiti e dalle evidenze;
  • fragile stabilità dei Governi e orizzonti temporali troppo stretti per la programmazione (anche economica) del SSN e per i sistemi di valutazione dei centri di responsabilità della sanità;
  • interessi contrastanti dei diversi soggetti che operano nel mondo della sanità e la contestuale incapacità della politica di allinearli e metterli in equilibrio;
  • la moda delle “nozze con i fichi secchi” e i ripetuti tagli al finanziamento programmato del SSN;
  • la scarsa priorità data alla Salute e alla sanità pubblica nell’agenda della politica, portando il SSN ad essere considerato come costo e non al contrario come un investimento straordinario per il diritto alla Salute e per la coesione sociale;
  • subordinazione della Salute all’Economia, lo squilibrio tra l’esigenza di tenuta dei conti e la garanzia dei LEA, nonché la gestione problematica dei Piani di rientro dal disavanzo in sanità;
  • l’incapacità di ammodernare e innovare realmente il SSN per allinearlo velocemente con l’evoluzione dei bisogni della popolazione e l’epidemiologia, oltre che la mancanza di volontà di farlo veramente;
  • legalità, trasparenza, valutazione e meritocrazia in affanno per troppi anni e a macchia di leopardo
  • mancanza di una politica nazionale forte in sanità che non ha garantito adeguatamente verifiche, interventi e coordinamento nei confronti delle Regioni e che non ha neanche saputo fornire a quest’ultime le risposte che chiedevano, con il conseguente aumento del divario Nord-Sud e in genarle tra le Regioni; e quindi crescita delle disuguaglianze;
  • problemi evidenti nelle scelte e nella programmazione tra Governo e Regioni, testimoniati dai contenziosi anche a livello costituzionale che non accennano a cessare.

“L’ultima Legge di Bilancio – commenta infine il portavoce FNOPI – ha iniziato a dare alcune risposte concrete. Anche il nuovo Patto per la Salute offre alcune importanti soluzioni a molti di questi problemi. Ora la sfida da vincere è quella di dargli gambe, attuarlo veramente in tutto il Paese e farne percepire gli effetti ai cittadini. In altre parole – conclude – è ora di cambiare davvero!”.