Il sistema del ticket necessita di una razionalizzazione, soprattuto dove è iniquo, ad esempio per le famiglie numerose con redditi bassi. Secondo i deti Istat la disuguaglianza di salute, pesa anche sull’economia delle famiglie, è una delle principali cause che mettono in condizione circa 4 milioni di persone di rinunciare alle cure (e altri due rinunciano per la lunghezza delle liste di attesa. Tonino Aceti, portavoce della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) (l’editoriale originale su www.fnopi.it) lancia la proposta del Ministro della Salute Roberto Speranza di abrogare a livello nazionale il Superticket.
Tre i motivi indicati da Aceti.
Il primo è che l’abrogazione del superticket, e più in generale una riduzione della pressione dei ticket sui redditi delle famiglie, rappresentano misure che possono concretamente facilitare l’accesso alle cure da parte dei cittadini salvaguardandone al tempo stessi i relativi redditi. Aceti ricorda che nonostante la rinuncia di molti alle cure, il “Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica” della Corte dei Conti indica un aumento del contributo complessivo in termini di ticket richiesto ai cittadini nel 2018 in media del 2,6%, con un aumento pari a 74 milioni. Ma anche qui la differenza tra Regioni è forte: 33,7 euro la Sardegna, 41,1 euro la Calabria, 53,8 euro l’Abruzzo, 61 euro l’Umbria, 90 euro la Valle D’Aosta.
Il secondo sono, appunto, le differenze regionali. Ad esempio (ma in ogni regione c’è il fai-da-te) l’Emilia Romagna ha eliminato il superticket a partire dal 1 gennaio 2019 per le fasce di reddito fino a 100 mila euro; nelle Marche non lo si paga per i redditi Isee sotto i 10 mila euro; in Veneto dal 1 gennaio 2020 non lo pagheranno più tutte le persone economicamente vulnerabili, con un reddito inferiore a 29 mila euro annui; in Liguria invece è prevista l’applicazione secca dei 10 euro; nessuna quota fissa da pagare in Sardegna, Basilicata, P.A. Bolzano. E così via (vedi tabella). E sul ticket per i farmaci va anche peggio: per i non esenti zero ticket in Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Sardegna; 1 euro a ricetta a Trento; 2 euro a confezione (massimo 4 euro a ricetta) in Liguria; 4 euro a confezione (massimo 8 euro a ricetta) in Toscana; 2 euro a confezione (massimo 4 euro a ricetta) + 1 euro a ricetta in Calabria. E altrettante differenze anche per la compartecipazione a carico degli assistiti esenti in funzione dei codici esenzione e fascia di reddito.
Il terzo motivo è che alcune prestazioni ricomprese nei Livelli essenziali di assistenza, soprattutto quelle della “specialistica”, proprio per l’effetto superticket sono più costose della stessa prestazione effettuata nel canale privato. Un fenomeno che contribuisce ad aumentare quella spesa “out of pocket”, quella privata. delle famiglie che nel 2017 si attesta complessivamente a circa 39 miliardi di euro.
E a dirlo non è solo Aceti, ma la stessa Corte dei conti che precisa: “L’incremento della spesa diretta delle famiglie può essere spiegato come una conseguenza dei relativi ticket nel settore pubblico, che hanno reso le tariffe dei servizi privati più “competitive” e meno onerose rispetto a quelle del SSN”.
“In questo contesto – afferma Aceti – la proposta del ministro della Salute di abrogare a livello nazionale la quota fissa di 10 euro sulla ricetta (il cosiddetto superticket) potrebbe sicuramente ridurre una parte di queste disuguaglianze, con particolare riguardo alla specialistica. Sarebbe inoltre opportuno mettere subito mano anche all’ambito dei ticket farmaceutici per una maggiore armonizzazione dei relativi sistemi regionali, oggi caratterizzati da troppe differenze”.
Ciò che serve secondo il portavoce FNOPI è una riforma complessiva del sistema dei ticket sanitari che riporti i cittadini verso il Servizio Sanitario nazionale con ticket accettabili e sempre più convenienti rispetto al canale privato, che riduca le eccessive differenze che oggi caratterizzano le normative regionali e che riaffermi l’equità nel sistema.
D’altra parte, sottolinea Aceti, già lo diceva il Patto per la salute 2014-2016 (da allora sono trascorsi oltre cinque anni ed è ancora tutto immutato) che all’art. 8 prevedeva: “È necessaria una revisione del sistema della partecipazione alla spesa sanitaria e delle esenzioni che eviti che la partecipazione rappresenti una barriera per l’accesso ai servizi ed alle prestazioni così da caratterizzarsi per equità ed universalismo. Il sistema, in fase di prima applicazione, dovrà considerare la condizione reddituale e la composizione del nucleo familiare e dovrà connotarsi per chiarezza e semplicità applicativa. Successivamente, compatibilmente con le informazioni disponibili, potrà essere presa in considerazione la condizione “economica” del nucleo familiare”.