Contro la violenza di genere sui luoghi di lavoro servono iniziative concrete che ricalcano quelle necessarie per combattere le aggressioni in generale agli operatori sanitari. Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche, partecipando al tavolo sulla violenza di genere nei luoghi di lavoro in occasione della Giornata nazionale della salute della donna organizzata dal Ministero della Salute a Roma, ha illustrato una serie di iniziative possibili. Anche considerando che gli infermieri sono per il 77,42% donne (in alcune Regioni si supera il 90%) e quindi le misure indicate per prevenire la violenza sui posti di lavoro, pur avendo valenza generale per tutti gli operatori, sono mirate a una vera e propria tutela di genere.
“Riteniamo – ha detto la Mangiacavalli – che si debbano prevedere dal punto di vista legislativo norme per assicurare tolleranza zero verso la violenza nelle strutture sanitarie, con inasprimento delle pene perché chi la compie sappia (quindi massima informazione) di stare perpetrando un reato severamente punibile”.
Tra le cause che forse è possibile attenuare, secondo la Mangiacavalli c’è sicuramente l’eccesso di attesa per una prestazione sanitaria, soprattutto nei pronto soccorso dove si assumono a volte tempistiche davvero stressanti. “Immaginiamo per questo meccanismi già collaudati in alcune Regioni benchmark – ha spiegato – con sistemi di smistamento alternativi (ad esempio il See&Treat, ambulatori di fatto di primo soccorso infermieristico) per alleggerire le file dagli interventi a bassa intensità di cura e ridurre la tensione e la reattività dei pazienti”.
Quello di cui c’è veramente bisogno, secondo la presidente FNOPI, è comunque di un livello ben più alto di formazione del personale nel riconoscere, identificare e controllare i comportamenti ostili e aggressivi prevedendo anche appositi corsi Ecm, predisponendo anche un team addestrato a gestire situazioni critiche e in continuo contatto con le forze dell’ordine soprattutto (ma non solo) nelle ore notturne nelle accettazioni e in emergenza.
Ma fin qui si parla di ospedale. “Sappiamo bene – ha sottolineato ancora – che molte aggressioni avvengono al momento dell’assistenza a domicilio. Per questa sarebbero necessarie procedure per rendere sicura l’assistenza domiciliare prevedendo anche la presenza di un accompagnatore o la comunicazione a un secondo operatore dei movimenti per una facile localizzazione”.
Per evitare la violenza di genere – ma non solo – sarebbe utile secondo la Mangiacavalli anche regolamentare finalmente l’uso dei social nei luoghi di lavoro, soprattutto rispetto a ciò che spesso questi riportano dell’attività professionale per evitare commenti, furti di identità e proposte inappropriate (ne sono vittima circa il 12% delle donne coinvolte). E sui luoghi di lavoro stabilire pene più severe per chi aggredisce verbalmente e fisicamente una donna (non solo sui luoghi di lavoro, è ovvio), prevedendo l’aggravante del pericolo che nell’azione possono correre gli assistiti.
“Bisogna aumentare non solo la formazione degli operatori – ha specificato – ma anche l’informazione, perché siano denunciate da tutti e in modo chiaro le azioni di ricatto e le persecuzioni nell’ambiente di lavoro rispetto alla posizione e ai compiti svolti. Un mobbing spesso sommerso che colpisce spesso in prevalenza proprio il sesso femminile. Non si può più “lasciar fare” – ha concluso Mangiacavalli – e in questo vanno sensibilizzati i datori di lavoro e i responsabili dei servizi: la violenza va rifiutata ed evitata e per questo si devono prevedere sanzioni anche per chi non è in grado di garantire la sicurezza dei suoi dipendenti”.