“Mancano professionisti, mancano anche gli infermieri, tutti lanciano il loro grido di allarme, nessuno si sottrae. A mancare, però, è soprattutto un serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle competenze”.
Così la Federazione Nazionale degli Ordini degli Infermieri, che rappresenta oltre 447mila professionisti ed è l’Ordine più grande d’Italia, esordisce dal suo primo Congresso Nazionale a proposito della carenza ormai cronica di personale sanitario.
“Il Paese – afferma la presidente Barbara Mangiacavalli – ha bisogno di infermieri e di infermieristica. Eppure il SSN vede un costante decremento del numero di professionisti in Sanità e conseguentemente una sempre minore capacità di rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Su questa impostazione la comunità degli infermieri chiama a un confronto esplicito la politica Nazionale e Regionale”.
I cittadini apprezzano e stimano gli infermieri, ma vorrebbero non solo che ce ne fossero di più, anche che potessero essergli più vicini, senza burocrazia e comunque non solo in ospedale.
E hanno ragione, visto che ne mancano almeno 20mila in ospedale e 30mila per rendere efficiente l’assistenza continua sul territorio. Anzi, il loro numero – come quello di tutte le professioni sanitarie – continua ogni anno a calare per i risparmi di spesa a cui sono costrette le Regioni e dal 2009 al 2016 se ne sono persi oltre 12mila.
I cittadini, secondo i risultati dell’Osservatorio Civico FNOPI- Cittadinanzattiva presentati al primo Congresso della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche, oltre che in ospedale – dove nell’80% dei casi analizzati hanno percepito “sicurezza” dall’assistenza che gli infermieri gli hanno assicurato -, vorrebbero più infermieri sul territorio, nella farmacia dei servizi (65,55%) ad esempio e anche come infermiere di famiglia/comunità in analogia col medico di medicina generale (78,61%), vorrebbero avere la possibilità di consultare un infermiere esperto in trattamento di ferite/lesioni cutanee (86,09%), avere un infermiere disponibile anche nei plessi scolastici per i bambini/ragazzi che ne potrebbero avere bisogno (84,08%).
Gli infermieri dal canto loro amano la propria professione, ma non dal punto di vista economico e sono convinti che la professione sia interessante e importante, ma non vedono grandi possibilità di carriera allo stato attuale delle cose.
I loro “voti” alla professione, secondo un’analisi condotta sui dati della Rilevazione delle Forze Lavoro (Rclf) dell’Istat, sono tra i più alti di tutte le professioni, anche se nella loro attività regnano i turni e non quelli normali e per la maggior parte delle professioni (non sanitarie) limitati, soprattutto quelli notturni e festivi: tra gli infermieri il lavoro di domenica è quasi la norma, e tocca il 68,3% nei servizi ospedalieri e tra gli infermieri dei servizi ospedalieri ben il 57,8% afferma di aver lavorato di notte nelle ultime 4 settimane e il 44,4% per 2 o più volte ogni settimana.
Per quanto riguarda la soddisfazione per le possibilità di carriera, nel complesso i punteggi non sono elevati in tutte le professioni (la media totale è 6). Gli infermieri sono meno soddisfatti della carriera rispetto ai medici (6,3 contro 6,7 nei servizi ospedalieri, ma 6,4 rispetto a 6,2 in altri comparti di sanità e assistenza), ma lo sono di più rispetto alla media delle professioni (tutte tra 5,9 e 6).
Eppure attualmente l’85% delle aziende nel privato e i l’84% nel pubblico investe in ruoli dirigenziali per gli infermieri. L’88% delle aziende individua competenze specialistiche distintive per gli infermieri (100% delle private e 85% delle pubbliche). Il 57% delle aziende ha selezionato infermieri in aree di responsabilità organizzativo gestionale “contentibili” con altre professioni (54% delle aziende private e 57% di quelle pubbliche) con compiti che vanno dalla gestione della qualità al risk management, dal bed management all’operation management fino alla conduzione di team multiprofessionali e, nel pubblico, anche incarichi di direzione di unità operative come i consultori e i distretti o anche la direzione sociosanitaria aziendale.
Per questo la loro proposta è chiara: si deve riuscire ad aumentare rapidamente il rapporto infermieri – medici per accompagnare l’evoluzione dei bisogni e migliorare appropriatezza e sostenibilità del sistema, soprattutto nelle regioni in cui demografia ed epidemiologia rendono il gap bisogni – offerta più ampio.
E per realizzare l’obiettivo è necessario:
- definire target espliciti di rapporto infermieri – medici da raggiungere entro periodi determinati. Attualmente il rapporto medici – infermieri è costante nel tempo, ma perché -segue le carenze progressive delle due professioni. il rapporto infermieri – medici i-.n ospedale è passato ad esempio da 2,48 del 2010 a 2,52 del 2016.
- accompagnare i cambiamenti con azioni (sperimentazioni, formazione, trasferimento di esperienze, …) che aiutino l’evoluzione del sistema verso una minore densità medica.
La ricetta è anche quella dello skill-mix, ovvero modifica nel perimetro di attribuzione delle competenze tra medici e altre professioni sanitarie, in particolare quella infermieristica, descritta nell’ultimo rapporti Oasi 2017 di Sda Cergas Bocconi. Una interazione necessaria secondo il Cergas, come dimostra anche l’analisi delle esperienze internazionali, in cui si vede come politiche di modifica dello skill mix siano sempre più frequenti, e come – sebbene diffuse principalmente a livello di assistenza primaria – sempre più si stiano estendendo anche al mondo delle cure per acuti.
Attualmente il dibattito è attraversato da periodici allarmi di taglio “settoriale”: mancano medici negli ospedali, mancano infermieri, mancano medici di famiglia. L’assenza di ogni riferimento a orizzonti complessivi, come, ad esempio, i vincoli finanziari e reali che i diversi SSR sperimentano e la necessità di operare delle scelte sul mix delle assunzioni (ogni assunzione ne preclude un’altra), comporta il prevalere di logiche incrementali basate sugli equilibri consolidati e sui rapporti di forza (capacità di interlocuzione e di interdizione) tra le diverse professioni e discipline.
Si tratterebbe, secondo la Fnopi, di modificare la composizione del personale nel quadro di invarianza delle risorse. Da questo punto di vista il vincolo reale con cui il sistema deve fare i conti non è – o non solo e comunque non prioritariamente – quello di una carenza di specialistici medici, ma delle risorse a disposizione per assumere il personale nel suo insieme.