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Indagine Censis-Istat: Gli italiani apprezzano gli infermieri, ma crisi e carenze mettono a rischio ospedale e territorio

Presentati i risultati di un’indagine Censis sulle prestazioni richieste agli infermieri sul territorio e di un’analisi sulla rilevazione delle forze di lavoro Istat, grazie alla partnership IPASVI – Istat, per comprendere dove lavorano gli infermieri, chi fa cosa e quali problemi ci sono nei vari settori.

Gli italiani apprezzano gli infermieri: l’84,7% dei cittadini dichiara di fidarsi di loro. Ad avere più fiducia sono gli ultrasessantacinquenni (90,1%), i residenti al Nord-Est (87,3%), le persone che vivono sole (89%), le famiglie con ultrasettantenni (84,7%) e quelle con minori (82%).

Si affidano agli infermieri soprattutto quando fuori dall’ospedale hanno bisogno di assistenza: chi ha avuto difficoltà in questi anni ad avere continuità assistenziale sul territorio e a domicilio tramite il Servizio Sanitario, e la possibilità di avere accesso tempestivo al momento del bisogno ad alcune prestazioni sanitarie, tra le quali quelle infermieristiche, senza passare dall’ospedale o da complicati meccanismi di accesso al pubblico, indica nel 53,8% dei casi come priorità quella di istituire la figura dell’infermiere convenzionato sul territorio, analoga a quella del medico di medicina generale, oppure dell’infermiere di famiglia organizzato dalla stessa azienda sanitaria locale. Il 38,5% vorrebbe l’incardinamento della figura dell’infermiere nelle farmacie, il 19,8% l’abolizione del numero chiuso per l’accesso alle facoltà infermieristiche per aumentare l’offerta sui territori e il 16,3% l’inserimento di prestazioni infermieristiche in pacchetti assicurativi con buoni incentivi fiscali.

Gli italiani quindi chiedono di potenziare l’offerta di prestazioni infermieristiche sul territorio per i canali del Servizio Sanitario e supportare le famiglie nell’acquisto privato, ad esempio tramite i meccanismi della mutualità e assicurativi.

È quanto emerge dalla ricerca Censis condotta nel 2016 per la Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI sul “mercato delle prestazioni infermieristiche private e l’intermediazione tra domanda e offerta” che entra nel dettaglio rispetto alla prima analisi generale presentata sempre dal Censis nel 2015.

Nel 2016, oltre  12,6 milioni di italiani si sono rivolti a un infermiere privatamente pagando di tasca propria: 7,8 milioni per una prestazione una tantum, 2,3 milioni per avere assistenza prolungata nel tempo, 2,5 milioni per avere sia assistenza prolungata nel tempo sia prestazioni una tantum. Un mercato destinato a crescere per ragioni diverse quali la cronicità in aumento, i deficit del Servizio Sanitario nell’assistenza territoriale e a domicilio.

Lo hanno fatto il 24,7% dei cittadini del Nord-Ovest, il 16,9% del Nord-Est, il 19,2% del Centro ed il 32,8% del Sud – isole. Alta la domanda di prestazioni infermieristiche proveniente da famiglie con un non autosufficiente (920 mila), ma molto consistente quella pediatrica con 2,5 milioni di famiglie con minori di cui 720 mila con bimbi fino a tre anni. Molto articolata la tipologia di prestazioni richieste: prelievi (31,5%), iniezioni (23,5%), assistenza in generale (15,4%), misurazione e registrazione di parametri e valori vitali (14,3%), medicazioni e bendaggi (13,5%), flebo, infusioni, perfusioni (13,4%), assistenza notturna (4,3%).

Il valore delle prestazioni infermieristiche erogate in un anno da infermieri è pari a 6,2 miliardi di euro. Per area geografica: 2,9 miliardi al Nord, 500 milioni al Centro e 2,8 miliardi al Sud – Isole.

Ma c’è anche un rovescio della medaglia. È cresciuto il sommerso nel welfare in generale, perché l’acquisto di servizi e prestazioni sanitarie, sociosanitarie, formative, sociali in senso ampio si è moltiplicato per effetto dei tagli all’offerta pubblica e anche nel mercato infermieristico si registra un sommerso rilevante e crescente: 6,3 milioni di italiani hanno acquistato prestazioni al nero, senza fattura, di questi 4,7 milioni in toto e 1,6 milioni in parte. La spesa privata al nero vale 1,4 miliardi, di cui 455 milioni al Nord, 150 milioni al Centro e 820 milioni al Sud – isole.

Il 49,8% degli acquirenti di prestazioni infermieristiche dichiara di averle pagate al nero (il 37,2% in toto e il 13% in parte), con una oscillazione tra il 40,4% al Nord, il 47,5% al Centro ed il 58,8% al Sud – Isole.

È importante capire, sottolinea il Censis, la non eccezionalità del sommerso dell’infermieristico, che è una variante del nuovo sommerso molto centrato in servizi e welfare.

E ancora per risparmiare, 24,2 milioni di italiani hanno ricevuto almeno una prestazione infermieristica da una persona che non è infermiere.  È l’area della inappropriatezza, amplissima e coperta da figure diversificate che si improvvisano infermieri per una o più prestazioni. 10,7 milioni di persone hanno fatto ricorso ai non infermieri al Nord, 5,3 milioni al Centro e 8,3 milioni al Sud – isole. Durante l’ultimo anno, ha ricevuto almeno una prestazione infermieristica da parente/conoscente il 31,1% dei cittadini, da OSS il 16,1% e da personale infermieristico non qualificato (es. badante) il 14% degli italiani.

Fin qui la ricerca Censis. Il Centro Studi della Federazione degli Infermieri ha anche condotto un’ulteriore analisi in base ai dati Istat sulla rilevazione delle forze di lavoro, grazie alla partnership IPASVI – Istat, per comprendere dove lavorano gli infermieri, chi fa cosa e quali problemi ci sono nei vari settori.

I dati più recenti dicono che gli “attivi” sono 371mila circa, i disoccupati poco più di 16mila. Chi lavora lo fa soprattutto negli ospedali (288mila), poi negli studi medici (31mila) e nelle strutture di assistenza residenziale (30mila). Circa 14mila infermieri lavorano in altri servizi di assistenza sanitaria, 4mila in strutture non residenziali e altri 4mila in altre attività economiche diverse dalla sanità.

Oltre il 96% degli attivi è dipendente, poco meno del  5% autonomo. La maggior parte (280mila) sono donne e il 66% degli attivi ha un’età compresa tra 35 e 54 anni, con il 36,5% che si concentra tra i 45 e i 54 anni.

Gli infermieri sono meno “precari” di altre professioni:  il 6,1% contro il 15,9%, ma l’occupazione femminile che prevale su quella maschile è anche decisamente più precaria. Nelle altre professioni le differenze nella quota di lavoro precario tra uomini e donne sono invece molto contenute.

E che la disoccupazione e la precarietà colpisca soprattutto i giovani, soprattutto per colpa dei blocchi del turn over nei servizi pubblici e per la difficoltà attuale ad accedere a una libera professione strutturata e organizzata, lo dimostrano le età medie degli infermieri: circa 45,5 anni per quelli “stabili” (ma nel SSN l’età media aumenta a 49 anni e in alcune Regioni del Sud e in piano di rientro dove i blocchi al personale sono più rigidi, le differenze raggiungono anche 8 anni di età superando i 50), 31 anni per i precari.

Per i dipendenti la soluzione è quella ormai nota da anni: sblocco del turn over, stabilizzazione dei precari e riapertura delle assunzioni.

Per i liberi professionisti le proposte emergono dalla ricerca Censis, con soluzioni che consentano agli infermieri, in particolare i più giovani, di fronteggiare l’erosione dell’occupabilità della professione cogliendo le opportunità di mercati in espansione, senza cadere nella subordinazione nei confronti di operatori dell’intermediazione tra domanda e offerta.

Occorre quindi un’intermediazione amica: o espressione del protagonismo di infermieri e/o soggetti del mondo infermieristico, o evoluta nel puntare non solo sul low cost tariffario, ma sulla qualità e personalizzazione delle prestazioni. Non è un mercato per infermieri singoli, per il lavoro autonomo individuale, per la microimprenditorialità personale, che non può che far capo ai soggetti dell’intermediazione capaci di far incontrare domanda e offerta, di contenere le tariffe col gioco dei grandi volumi, di ridurre i costi amministrativi e di marketing essenziali per posizionarsi sul mercato. A poco servirà secondo il Censis promuovere la cultura imprenditoriale e del lavoro autonomo tra gli infermieri, senza soluzioni virtuose sul tema dell’intermediazione.

 

L’intermediazione è ben vista dai cittadini perché è una risposta efficace alle difficoltà generate dall’estrema frammentazione di domanda e offerta che rende non facile l’incontro tra le due lame della forbice sul mercato e, soprattutto, rende non facile avere soluzioni tempestive, just in time, quando il bisogno del paziente è impellente.

 

Dalla ricerca emerge che le soluzioni dovranno avere almeno due aspetti: un protagonismo di cultura e professione infermieristica, cioè niente subalternità con altri, e un intelligente utilizzo del digitale come strumento che scardina l’intermediazione tradizionale.

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