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Diabete, rapporto di Cittadinanzattiva: malati cronici spesso lasciati a se stessi. Ecco la ricetta della Federazione degli Infermieri

Il quadro che disegna il primo Rapporto civico di Cittadinanzattiva “Diabete: tra la buona presa in carico e la crisi dei territori” conferma un dato di fatto che da tempo la Federazione degli Infermieri denuncia: c’è troppa burocrazia nell’assistenza ai malati cronici, garanzia di percorsi spesso solo sulla carta e innovazione a macchia di leopardo nelle Regioni.

Dal rapporto emerge che le persone intervistate nell’indagine sono responsabili ed esperte nella gestione della malattia, effettuano le necessarie visite di controllo  e tutti gli esami diagnostici necessari e svolgono regolarmente attività fisica. Ma la maggior parte se la deve cavare da sé, con lunghe liste d’attesa (si attende anche un anno per la prima visita diabetologica e un anno e mezzo per quella endocrinologica) e accade anche che i pazienti siano costretti a fare centinaia di chilometri per la visita di controllo al centro diabetologico e per un colloquio che in molti casi dura solo pochi minuti e non sempre con lo stesso specialista. La maggior parte deve prenotare autonomamente le visite o gli esami di controllo e deve ricordare tutte le visite da solo non essendoci un sistema di calendarizzazione degli appuntamenti. Insomma, i pazienti cronici sono troppo spesso lasciati soli.

I malati cronici – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche – devono essere assistiti meglio, molto meglio di come lo sono finora e ovunque con la stessa cura e gli stessi diritti. E deve esserci necessariamente un cambio di rotta nel modello di assistenza del Servizio Sanitario Nazionale: ci si deve prendere cura delle persone con patologie croniche, perché siano assistite in modo complessivo, e non solo per quanto riguarda i sintomi specifici”.

Secondo la Mangiacavalli “non si possono lasciare sole le famiglie e i malati a cercare assistenza e gli infermieri lo sanno e hanno le idee ben chiare in questo senso”.

La Federazione, che ha partecipato al rapporto civico di Cittadinanzattiva, ha da tempo proposto la figura di infermiere di famiglia e/o  comunità e calcolato che ce ne dovrebbero essere almeno uno ogni 500 malati cronici, diabetici compresi: in tutto almeno 30mila in più.

Le variabili fondamentali per affrontare con efficacia la cura della cronicità secondo la Mangiacavalli sono: l’impegno di tutto il sistema sanitario e sociale e della comunità; le cure primarie, come componenti fondamentali per le cure territoriali e segmento del SSN più vicino al paziente e per la gestione integrata della persona con malattia cronica.

“In questo ambito – prosegue – e grazie al lavoro multidisciplinare necessario, la funzione infermieristica contribuisce a orientare l’assistenza ai malati cronici basandosi su approcci di assistenza proattivi, richiamati anche nel modello dalla medicina di iniziativa. Questo modello sposta il focus dalla cura della cronicità, dalla gestione delle complicanze della malattia di base alle capacità ancora attivabili e/o residue sia della persona che dei suoi caregiver. Obiettivo è mantenere sotto controllo la malattia cronica e rendere la persona assistita capace di autogestire la propria condizione di salute e di malattia”.

E c’è anche la presa in carico infermieristica anticipata per l’inserimento dell’ assistito in programmi di disease e care management e l’individuazione di ulteriori indicatori di efficacia e appropriatezza, validi anche rispetto alla qualità di vita e di assistenza. Per la parte assistenziale, ad esempio, gli indicatori potrebbero riguardare le dimensioni (esiti) sensibili alla cura infermieristica e all’azione del nursing.

Sul territorio – conclude la Mangiacavalli l’infermiere assicura la continuità della presenza e della presa in carico dei problemi (acuti/cronici) di salute e benessere per le persone fragili e per le loro famiglie/caregiver. Le competenze infermieristiche non solo favoriscono la personalizzazione degli impegni della persona verso la propria salute, riducendo il rischio di istituzionalizzazione/ospedalizzazione, ma creano con il  medico di medicina generale un’ alleanza che fa da tramite tra le esigenze della persona assistita e il medico di fiducia; favorisce condizioni e relazioni per raggiungere gli obiettivi di salute e mantenimento della persona assistita, coerentemente con gli obiettivi terapeutici previsti. Il medico di medicina generale può focalizzarsi sui problemi di salute più complessi dal punto di vista clinico-terapeutico e affida i casi più emblematici dal punto di vista della cronicità (stabilità clinica e aderenza terapeutica, comportamenti e stili di vita) all’infermiere sul territorio, nell’ottica della cooperazione professionale e condivisione della pianificazione delle cure alla persona”.

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